Questa sera si recita a soggetto…e il soggetto sono io!

Ognuno di noi, fin dalla prima infanzia, è portatore di molteplici “maschere” ( quella familiare, quella lavorativa, quella sociale) che ne reificano la personalità in una struttura definita e, in un certo senso, definitiva.

Naturalmente avere un’immagine-maschera è utile e rassicurante per certi aspetti poiché consente di assumere una “forma” con cui essere riconoscibili a se stessi e agli altri.

Allo stesso tempo però ridurre l’idea di sé solo al proprio “personaggio sociale” non consente di sperimentare le infinite possibilità di cui si dispone.

E’ come avere un arco dotato di centinaia di frecce e decidere di utilizzarne solo due o tre.

Il Sé di ogni individuo difatti è costituito da numerosi Io, ma solo una parte di essi viene realmente sperimentata nel quotidiano.

Questa abitudine ad attuare unicamente comportamenti consoni al copione quotidiano, tuttavia, può rivelarsi assai pericolosa in quanto facilita la perdita di se stessi, della propria spontaneità ed autenticità, inducendoci ad alienare il nostro Vero Sé (Winnicott, 1962).

Questa costante inibizione di azioni e pensieri assumerebbe la forma di una vera e propria “corazza” (Reich, ) che, nei casi più gravi, diviene l’origine di numerosi blocchi energetici e corporei.

Ma qual è la funzione del teatro in questo panorama pirandelliano? In che senso il teatro aiuta a trovare se stessi? Cosa lo rende terapeutico?

Il teatro rappresenta la prima forma di terapia, sperimentata dall'uomo fin dai tempi più remoti, poiché amplia gli orizzonti mentali, attivando risorse ed energie atrofizzate.

Nel processo creativo s’impara ad essere più vivi e presenti, a comunicare con se stessi e con gli altri, a rompere con i soliti schemi aprendosi verso nuove prospettive.

Tutto ciò si traduce molto bene nell’essere attore.

L’attore, infatti, interpreta dei personaggi diversi da sé e, nel farlo, si disancora dalle sue personali maschere quotidiane.

In questo modo egli ha la possibilità di liberare aspetti e potenzialità del suo Essere che non immaginava di possedere in quanto estranei al suo consueto “copione personale”.

Dire quindi che il personaggio di un testo teatrale vive grazie all’attore che lo interpreta è una definizione impropria: attore e personaggio sono facce di una stessa moneta, ciascuno dei due completa ed arricchisce l’identità dell’altro, una sorta di “doppio ingranaggio” (Orioli, 2008).

Non tutte le forme teatrali tuttavia sono in grado di ospitare questa concezione dell’attore e del suo modo di lavorare con/sul personaggio.

Il genere teatrale più adatto probabilmente è il teatro definito “di ricerca” o “teatro laboratorio”, il cui scopo non è tanto ( o non è solo) la qualità dello spettacolo teatrale in quanto tale, ma piuttosto il “processo” con cui l’attore da vita al personaggio.

Questo tipo di salto, dal segno al processo, è ciò su cui nasce la teatroterapia: essa diviene “arte del vivere” (bene!) e non del semplice rappresentare.

L’obiettivo della seduta di teatro-terapia è proprio quello di armonizzare corpo, voce e mente nella relazione con l’altro e sé stesso seguendo la propria creatività interpretativa.
Gli effetti delle sedute, potenti specie perchè di gruppo, producono ottimi risultati in quanto gli stimoli ricevuti entrano a far parte di un’esperienza profonda che la persona può integrare nella vita di tutti i giorni.

Il Teatro e psicologia dunque altri non sono che due vie confluenti con cui giungere alla stessa meta: scoperta, contatto con il Vero Sé e cambiamento.


Dott.ssa Claudia Pelizzoli
Psicologa clinica ad orientamento analitico transazionale.

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